TRA ISMI E SURF

Di Roby Noris



Siate buoni se potete" era il titolo di un nostro articolo sul buonismo, un altro ismo che, come il sentimentalismo, è agli antipodi della carità. Il buonismo non ha nulla a che vedere con la "bontà" come il sentimentalismo è ben lontano dai "nobili sentimenti". Il Natale si avvicina e si moltiplicano le occasioni e gli inviti a sentirsi buoni. La catastrofe in America centrale e i profughi del Kossovo ci invitano a gesti di solidarietà. Ma quanto siamo capaci di sfuggire alla trappola del buonismo e del sentimentalismo? La questione, lungi dall'essere di natura terminologica, è molto concreta ma anche molto delicata. È difficile infatti, se non impossibile, dire a qualcuno che è convinto di fare qualcosa di buono per gli altri che il suo operato non costruisce una societa più solidale, un mondo migliore, o che addirittura distrugge la carità? Eppure molto spesso ciò che viene presentato come espressione di solidarietà è solo sentimentalismo privo di qualunque prospettiva seria di promozione umana. Non sempre la differenza sta in ciò che si fa, ma piuttosto in ciò che ci muove a fare, in ciò che pensiamo, nei giudizi che stanno alla base dei nostri gesti di solidarietà. Un buon indicatore è il modo come si protraggono nel tempo i nostri gesti solidali, e quali prospettive aprono. Tento un esempio su questo terreno minato, col rischio inevitabile di essere frainteso. Ci si può commuovere e mobilitare per i profughi del Kossovo, ma si possono avere atteggiamenti completamente diversi: ci si può sentire buoni, persino quasi eroici, perché si è colta l'emergenza. Oppure si possono fare le stesse cose pensando che non c'è nessuna emergenza, che la tragedia non è qui ma nel Kossovo, e che il nostro mobilitarsi è poca cosa ma è il minimo che possiamo dare oggi come contributo fattivo e concreto; possiamo essere attenti a quella come a tante tragedie del pianeta cercando dì informarci e di seguire quel che succede in quelle terre martoriate, con la coscienza che l'Europa e la Svizzera potrebbero fare ben di più per incidere sul quadro politico, economico e sociale: non sono affari degli altri, dei politici, dell'ONU o di chi sa chi, sono affari nostri, per esempio quando votiamo i nostri politici da mandare a Berna. Se impariamo a commuoverci per i milioni di bambini che non conosciamo e non vediamo, magari perché i mass media hanno deciso che una certa tragedia non fa più notizia, allora anche l'emozione di fronte alla sofferenza che riusciamo a incontrare sarà più vera e i nostri piccoli gesti di solidarietà saranno i piccoli segni di una speranza più grande per tutta l'umanità. Se le nostre espressioni di solidarietà non nascono da un preciso giudizio culturale e non generano nessun giudizio sociale, economico e politico sulla povertà che incontriamo, rischiano di rimanere solo forme più o meno sofisticate di liberazione della cattiva coscienza di chi ha troppo nei confronti di chi non ha neppure il necessario. Per questo tutto quel filone di spettacoli televisivi per aiutare a destra e a manca, che si presentano come la quintessenza della solidarietà, credo siano sostanzialmente immorali perché privi di qualsiasi preoccupazione di giudizio culturale, sociale e politico in prospettiva, indipendentemente dalle eventuali buone intenzioni di chi li promuove. Prova ne è che una situazione di bisogno, o una tragedia, viene enfatizzata e poi subito dimenticata per lanciarne una nuova a dipendenza dell'audience e dei vari indici; lo spettacolo va avanti e ciò che conta è la rappresentazione della sofferenza e di un certo modello di solidarietà spettacolare e non la sofferenza vera che continua nel tempo e chiede soluzioni a lungo termine. In Apocalypse Now, una delle dieci pagine di cinema da salvare assolutamente in caso di abbandono del pianeta, un capitano americano sulle rive del Mecong urla indignato perché i suoi soldati non hanno dato da bere a un prigioniero vietcong morente, ma interrompe di colpo il suo ardente sproloquio sul rispetto che si deve a quell'uomo anche se nemico e se ne va rovesciando distrattamente a terra l'acqua della sua boraccia quando gli dicono che è appena arrivato al campo una recluta campione di surf in California. Surf e solidarietà? II fatto che una delle mie vele da windsurf costi come il mantenimento di una famiglia per un anno in un paese del terzo II mondo non può che pormi qualche interrogativo scomodo. Vorrei essere capace di scelte radicali, di tipo francescano per intenderci, ma sono convinto che anche questo servirebbe a poco senza un preciso giudizio sul rapporto fra carità e giustizia che si costruisce attraverso un lungo cammino di educazione personale. Con questa premessa anche il più semplice gesto di solidarietà in clima natalizio assume ben altre proporzioni e non rischia gli "Ismi" di cui abbiamo accennato. Buon Natale di carità a tutti.